“…E in effetti, se prima di Pietro il Grande la Russia si poteva considerare per la sua cultura quasi la più dotata e feconda continuatrice di Bisanzio, dopo Pietro il Grande, scelta la via dell’orientamento romanogermanico, essa si era ritrovata alla coda della cultura europea, ai margini della civiltà.” (Nikolaj Trubeckoj, 1920)
Esiste da almeno tre secoli una questione russa, così come esiste
una questione orientale ad essa connessa. Più in generale
si può dire che esiste una questione europea che si mantiene irrisolta
per quello che concerne i suoi equilibri interni. L’esperienza di un’Europa
divisa in due o in tre parti è stata vissuta più volte, con
i Balcani, i Carpazi e i Sudeti come aree cruciali di scontro: negli ultimi
due secoli sono state zone di confine tra Imperi (Ottomano, Austro-Ungarico,
Russo), poi polveriere delle due Guerre Mondiali, poi cortine di ferro
della guerra fredda, infine oggi teatro di guerre etniche e civili. In
questo contesto si è inserita la Russia, assetata di riscatto dopo
il crollo dell’impero sovietico, influenzata al suo interno da vari movimenti
politici, che vanno dai nostalgici dello zarismo ai neocomunisti filosovietici,
che chiedono un grande scatto d’orgoglio da parte della ex seconda superpotenza
mondiale.
Il problema centrale sta nella necessità di ricollocarsi nel
panorama internazionale, e su questo punto la politica estera russa ha
mantenuto (presumibilmente) i caratteri del doppio binario: da una parte
vi è stata la disponibilità (sofferta) di una collaborazione
con l’Occidente: l’entrata nel G8, la “Partnership for Peace”, ecc.; dall’altra
vi è stata un’azione che ha teso a ripristinare i collegamenti con
le ex Repubbliche sovietiche attraverso trattati bilaterali di cooperazione,
ed inoltre non si sono risparmiate le minacce verso i paesi dell’ex Patto
di Varsavia che hanno di volta in volta chiesto di entrare a far parte
dell’Ue e della Nato. Dove vuole andare la Russia? Qual è la sua
identità? A queste domande lo scrivente non è all’altezza
di rispondere, ma si può fare un po’ di luce su di una corrente
di pensiero scomparsa settanta anni fa e ricomparsa negli anni ’90, che
dà alcune risposte precise: l’Eurasismo.
Il movimento nacque a Sofia nel 1921, attraverso una serie di scritti
opera di Trubeckoj, Florovskij, Savickij, Suvcinskij, russi “bianchi” emigrati.
Il nocciolo del loro pensiero si trovava nella raccolta “Esodo a Oriente”,
dove erano appunto tracciate le linee guida dell’Eurasismo. Anzitutto si
definiva la Russia, né europea, né asiatica, ma appunto eurasiatica,
con una cultura ed una vita propria, distinta ed avversa a quella europea
occidentale. Il rapporto con l’Europa era ovviamente trattato in modo manicheo:
riprendendo alcuni temi cari agli slavofili, ricorreva l’idea della crisi
inevitabile del mondo occidentale, e l’ascesa di un mondo nuovo, una nuova
fase in cui la “fiaccola della storia” sarebbe passata alla Russia. Lo
spiegava Savickij, secondo cui l’evoluzione si stava spostando nella storia
da Sud a Nord: dalla Mesopotamia (l’alba della civiltà) alla Germania,
per giungere alla Russia. Questo declino dell’Occidente (si ricordi che
Spengler, in altro luogo e sotto altri aspetti teorizzava ciò),
si stava manifestando in due sensi: a livello mondiale la crisi della civiltà
europea romano-germanica, fondata sulla ragione e sull’individualismo,
nonché sulle religioni cattolica e protestante, avrebbe lasciato
il posto alla civiltà eurasiatica, fondata sul comunitarismo e sull’ortodossia
cristiana. A livello interno russo, si aveva il bolscevismo, derivato del
marxismo e quindi della cultura romano-germanica, espressione di una classe
dirigente occidentalizzata destinata a fallire. Il merito del bolscevismo
era stato quello di aver salvato i confini dell’impero zarista, ma l’occidentalizzazione
ed il cosmopolitismo che Lenin aveva introdotto avrebbero avuto vita breve:
Savickij e Suvcinskij spiegavano come la Russia, nel peccato e nell’assenza
di Dio, si era buttata nella lotta rivoluzionaria, per costruire la cittadella
della rivoluzione. Quest’opera, iniziata dai bolscevichi, sarebbe stata
completata dal popolo, il quale, pentitosi del suo ateismo, avrebbe cacciato
i comunisti ed avrebbe permesso il ricongiungersi dell’intellighenzia con
le masse, sotto la “cupola” dell’ortodossia religiosa.
Da quando la Russia sarebbe sotto l’influsso del dominio romano-germanico?
Per gli eurasisti, come per gli slavofili, il colpevole era senza dubbio
Pietro il Grande. Pietro viaggiò in Europa, apprese ed importò
in Russia, oltre al sapere, anche uomini occidentali. Le sue riforme permisero
alla Russia di accreditarsi nel novero delle maggiori potenze europee,
ma questa visione positiva era negata prima dagli slavofili nel corso dell’Ottocento,
e poi dagli eurasisti. Per entrambi il percorso naturale, intrapreso dalla
Rus’ di Kiev e poi dalla Rus’ moscovita aveva subìto una brusca
virata con l’avvento di Pietro, fautore delle riforme occidentaliste. Da
un certo punto di vista, dunque, esisteva una continuità tra la
Russia pietroburghese settecentesca e quella sovietica novecentesca, essendo
tutte e due frutto di ispirazioni filo-occidentali: la prima avendo introdotto
il formalismo giuridico, i criteri razionalistici, l’individualismo; la
seconda era portatrice di cosmopolitismo, ateismo, internazionalismo. Ma
gli eurasisti differivano dagli slavofili per la rivalutazione dello spazio
asiatico, vero spazio di ricerca delle proprie radici. La Russia autentica,
per gli eurasisti, era quella russo-mongolica, in cui l’elemento russo
si combinava con quello tataro-mongolo, perché era dai mongoli dell’Orda
d’Oro che i prìncipi della Moscovia avevano appreso l’edificazione
dello stato. Non solo, ma l’Asia rappresentava l’area di espansione naturale,oltreché
terreno fertile per una nuova spiritualità: i popoli pagani che
l’abitavano potevano essere convertiti facilmente all’ortodossia. L’aspetto
più interessante (e più inquietante, se si vuole) dell’Eurasismo
era quello geopolitico. Il panslavismo ebbe un considerevole influsso,
se si considerano le riflessioni di Danilevskij, che immaginava un’unica
Slavia federata compresa tra Grecia, Anatolia e i confini orientali della
Russia; e se si considerano anche le idee del geografo Lamanskij, che parlava
già di “continente eurasista” già nell’ultima decade dell’Ottocento.
Influenzati infine dalla geopolitica di Mackinder e Kjellen, gli eurasisti
pensavano ad un territorio definito come entità etno-geografica
a cavallo tra Europa ed Asia, che si estendesse dai Carpazi alla Grande
Muraglia, ma restando autosufficiente ed evitando gli sbocchi sui mari
(e questo era invece il grande cruccio di tutti gli zar): secondo Savickij,
l’Eurasia doveva restare “continentale”, al centro del grande continente
euro-asiatico, in posizione strategica ottimale. Distinguendo, come faceva
Mackinder, tra “potenze marittime” (USA, Giappone, GBR) e “potenze continentali”,
si doveva considerare la Russia come il centro della grande “isola tricontinentale”
formata da Europa, Asia ed Africa. Attorno a questo centro vi erano degli
stati-cuscinetto (Europa centrale, India, Cina) che, se controllati, avrebbero
permesso il dominio della grande “isola”. Gli eurasisti si aspettavano
l’avvento di una terza civiltà, sorta sulle ceneri del bolscevismo,
una civiltà che anche Mackinder prevedeva:, dopo la civiltà
pre-colombiana e dopo quella colombiana-europea, sarebbe sorta una civiltà
post-colombiana-eurasica.
L’Eurasismo ebbe vita breve: a partire dal 1923 iniziarono le infiltrazioni
dei servizi segreti sovietici all’interno del movimento, che scomparve
nel 1927.
Qui si potrebbe aprire un interessante parentesi su Stalin, che solo
accenniamo per motivi di spazio; qual è stata la politica estera
intrapresa da Stalin? Questa risposta, che spetta ai veri competenti in
materia, invita ad alcuni spunti di riflessione. Carta geografica alla
mano, possiamo notare come il periodo pre-bellico compreso tra il 1939
ed il 1941 (con il patto Molotov-Ribbentrop come fatto centrale) sia stato
contraddistinto dalla riacquisizione dei territori che furono di Pietro
e Caterina II, in funzione antigermanica: Finlandia, Paesi Baltici, Bessarabia,
ecc.; il periodo bellico era stato battezzato “Grande Guerra Patriottica”:
veniva recuperata con abilità la religione ortodossa e riabilitati
i generali del periodo moscovita e napoleonico: Nevskij, Suvorov, Kutuzov,
ecc.; il secondo dopoguerra stabilito dalle varie conferenze delle potenze
vincitrici estendeva la potestà sovietica sino ai Balcani, Tito
permettendo (e lui non permise), in funzione antiatlantica. Possiamo parlare
di uno Stalin slavofilo, panslavista, eurasista? Lasciamo a voi il gusto
di ricercare la risposta.
Nonostante molte smentite storiche rilevanti rispetto alle previsioni
di Trubeckoj e compagni, dopo la lunga parentesi sovietica (in cui ha operato
comunque Gumilëv) si sono avuti segnali di ripresa del movimento agli
inizi degli anni ’90. Oggi questa ideologia è diffusa, vi fanno
riferimento persone di vari ceti sociali, ed esistono anche riviste e tv
ad essa ispirate. Così come è minoritaria ma diffusa la corrente
neo-zarista, o come lo sono i 25 gruppi di matrice neo-comunista e nazional-fascista,
comprese le famose “Centurie Nere” e l’Unione dei Cosacchi del Don, tutti
accomunati dall’antisemitismo. Tuttavia il neo-eurasismo non appare dotato,
come il suo “genitore”, di implicazioni filosofiche o culturali, ma solo
politiche. L’estrema destra se n’è appropriata, ma anche l’opposizione
comunista ha “strizzato l’occhio” a tali idee. Capofila del neo-eurasismo
è Aleksandr Dugin, ex dissidente, che ha avuto occasione di avere
contatti con vari esponenti dell’estrema destra europea, quali Jean Francois
Thiriart, ex membro della Waffen SS e fondatore di “Jeune Europe”; Claudio
Mutti, responsabile italiano della stessa “Jeune”; inoltre Alain de Benoist
e Robert Steuckers. Idea comune di questi personaggi, che ha trovato d’accordo
per qualche tempo anche Zjuganov, avvicinatosi dal ’92 al ’93 alle posizioni
di tali destre dopo il fallito golpe dell’agosto ’91, è la costituzione
di un impero (o blocco continentale) che va da Dublino a Vladivostok, tutta
in chiave anti-atlantica e quindi anti-statunitense, secondo lo slogan
di Karl Haushofer: “l’Europa alleata della Russia contro l’America”. Centro
politico, geografico e spirituale di questo immenso stato è ovviamente
Mosca, definita “Terza Roma”, riprendendo tale nota definizione (usata
più volte nel corso dei secoli) dal monaco Filofeo, vissuto nel
Cinquecento, che scrisse: “La Chiesa dell’antica Roma è caduta a
causa dell’eterodossia dell’eresia apollinarista. La Seconda Roma – la
Chiesa di Costantinopoli – è stata fatta a pezzi dalle scuri dei
figli di Agar e ora questa Terza Roma del tuo potente regno – la Chiesa
santa cattolica ed apostolica – illuminerà l’universo intero come
fa il sole… Sappi e riconosci, pio zar, che tutti i regni cristiani si
sono ricompendiati nel tuo; che la Prima e la Seconda Roma sono cadute;
e che ora si erge una Terza Roma, a cui non succederà mai una quarta:
il tuo regno cristiano non cadrà in potere di nessun altro”.; La
collaborazione tra l’opposizione russa e i circoli nazionalistici europei
si è interrotta nell’autunno del 1993, quando El’cin ha ordinato
di cannoneggiare il Soviet Supremo. Zjuganov ha mutato opinione allontanandosi
dalle destre, ma ha rielaborato i concetti eurasiani giungendo a rivisitare
la storia: esisteva un’idea russa in termini di civiltà, comunità,
spiritualità, sin dall’XI secolo; quest’idea è stata ripresa
e sostenuta prima da Lenin e poi da Stalin, e combattuta da Trockij. Il
culmine della realizzazione di quest’idea si è avuto (sempre secondo
Zjuganov) con la Grande Guerra Patriottica. Dopo un brusco rallentamento
dovuto a Kruscëv, si poteva rilanciare il disegno negli anni Ottanta,
ma un complotto aveva impedito il rinnovamento dei vertici e aveva portato
alla dissoluzione dell’URSS. Con il crollo sovietico gli USA hanno potuto
edificare (a partire dalla Guerra del Golfo) il Nuovo Ordine Mondiale,
al quale il popolo “sovietico” deve opporsi.
Alla luce di quanto detto sinora, e dei recenti fatti europei, come
interpretare l’appello di Milosevic ad un’unione tra Serbia, Russia e Bielorussia?
Si può affermare che la Serbia potrebbe divenire la spina slava
nel fianco dell’Europa occidentale? Sono ipotesi da non scartare: la Chiesa
ortodossa può giocare ancora un ruolo determinante, e non è
garantito che nei Balcani, anche senza Milosevic, la situazione resti tranquilla.
Infine la Russia: si potrebbe affermare, secondo una definizione data
nel Settecento, che la Russia è un “gigante dai piedi d’argilla”?
Il paese è un grande debitore degli Usa e del Fmi, ha un’aspettativa
di vita di 57 anni per gli uomini e 60 per le donne, ed ogni anno muoiono
1 milione di persone a causa della netto gap tra nascite e morti. Il suo
Presidente cirrotico dovrà lasciare la poltrona l’anno prossimo,
e l’ex Armata Rossa è senza stipendi; ufficiali dell’esercito e
“nuovi russi” capimafia concorrono ormai indisturbati alle elezioni delle
varie repubbliche e governatorati. Tuttavia la Russia resta pur sempre
una potenza nucleare che possiede ancora oltre 6000 testate atomiche, e
che attende il momento per una rivalsa.
Il dibattito in corso tra nazionalisti-eurasisti e occidentalisti-atlantisti
riveste quindi un’estrema importanza. Dagli esiti di questo confronto,
(e ovviamente da altri fattori) dipenderà il futuro della Russia,
e probabilmente anche il nostro.